Occupando più della metà del promontorio elbano che guarda a sud-est, e che a sua volta rappresenta almeno due terzi del comune di Capoliveri, la Tenuta delle Ripalte è senz’altro il possedimento più esteso dell’Isola, con più di 12 km di costa e forse 20 tra calette e spiagge.
Manufatti artistici notevoli e resti di forni etruschi testimoniano insediamenti dal IX secolo A.C., ma è solo dalla prima metà dell’Ottocento, quando maturarono progetti per l’estrazione del ferro dai giacimenti segnalati nel promontorio fin dall’antichità che inizia un’attività umana ben documentata.
Attorno al 1890 la selvaggia bellezza della zona attirò l’attenzione di una figura notevole, Oscar Tobler, solito a percorrere il Tirreno sul suo panfilo partendo dalla base livornese. Di famiglia svizzera trasferita a Livorno già nel 1772, Tobler fu – tra Livorno e Pisa - imprenditore in più settori, ma la sua passione, però, fu l’agricoltura, vista in una dimensione tra economico/razionale e umanistico/sociale.
Tra 1889 e il 1906 egli acquistò almeno quattro estese tenute. La Tenuta di Capo Calamita (oggi Tenuta delle Ripalte) fu l’esemplare “selvaggio” del gruppo, essendo la più isolata (vi si accedeva solo con sentieri o dal mare, perché l’attuale strada d’accesso fu realizzata solo nel 1925, per uso delle miniere) e quasi priva d’una popolazione residente, solo con la presenza di lavoratori stagionali che venivano da Capoliveri.
Essa fu anche la più “mirata” agronomicamente, perché finalizzata quasi solo alla produzione di vino (le memorie paesane parlano di più di tremila barili annui attorno al 1910), venduto a commercianti genovesi che lo caricavano su velieri che attraccavano alle spiagge lungo la costa.
La fortuna economica di Tobler sembrò essere decaduta dopo il termine del primo conflitto mondiale; in ogni caso, prima del secondo conflitto egli la vendette a una figura di rilievo dell’Industria italiana, Umberto Quintavalle (per decenni vicepresidente e direttore generale della Magneti Marelli), che però ne ridusse la finalità aziendale, trattandola soprattutto come uno splendido “buen retiro” per sé, la famiglia e gli amici.
Iniziò allora la consuetudine di grandi battute di caccia settembrine (la tenuta era ed è ricca di lepri, fagiani, pernici), cui intervenivano numerosi esponenti del mondo imprenditoriale e delle professioni. Questo si mantenne dopo il passaggio della tenuta alla figlia Luisa, sposata al marchese Niccolò Theodoli. Nel frattempo l’economia dell’Elba, e in particolare di Capoliveri, da agricola e quasi monoculturale (la produzione di vino) si faceva quasi solo turistica, e a questa evoluzione corrisponde la gestione attuale della Tenuta.
Oggi con l’integrazione dell’indirizzo turistico con quello vitivinicolo si ritorna allo spirito originario di Oscar Tobler.
All’Interno dei 450 ettari di proprietà, i quindici ettari di vigneto sono situati in quattro zone principali, tutte sopra i 180 metri di altitudine, a garanzia di una maggiore ventilazione e di una protezione dall’umidità notturna generata dalla contiguità del mare.
I vigneti di Poggio Turco sono piantati ad Aleatico; l’esposizione a pieno sud è l’ideale per una perfetta maturazione di questo vitigno, emblema della viticultura elbana.
La zona del Gorgaccio con la sua esposizione a levante favorisce una insolazione mattutina che asciuga le uve dall’umidità notturna e le protegge da una eccessiva insolazione pomeridiana. Qui sono vigne, principalmente , di Vermentino e Alicante.
I Vigneti dei Pascoli Alti sono situati a 300 metri, maturano con una decina di giorni di ritardo e garantiscono alle uve bianche che li compongono una maggiore finezza e acidità anche nelle annate più calde.
I terreni sono tutti di origine vulcanica (granito metamorfico) con una notevole dotazione minerale. Tutti i vigneti sono recintati a difesa della fauna selvatica (lepri, cinghiali e capre selvatiche) particolarmente attratta dall’uva matura.
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